Storie personalizzate cercasi: ecco i SUMI-ME
Hai mai pensato di regalare una piccola storia personalizzata la posto di quei bigliettini tutti uguali che poi vengono buttati nel cestino?
Oggi ti presentiamo i SUMI-ME.
Cosa sono?
Lettere, storie o poesie personalizzate da regalarsi o da regalare.
Come funzionano?
Tu ci scrivi qualche dettaglio che rimanda al soggetto, che indichi qualcosa circa la personalità o le sue passioni, oppure ci parli di un locale, di un progetto, di un evento, di qualsiasi cosa vuoi che parli la storia e al resto pensiamo tutto noi.
Perchè SUMI-ME?
Sumi in Giapponese è l’inchiostro. Me è quel soggetto del quale poco a volte ci si prende cura. Io ci metterò tutta l’attenzione e la gentilezza possibile a mettere nero su bianco le parole, come se fossi un Monaco buddista di fronte a un foglio di carta di riso.
Eccoti un esempio di SUMI-ME
Questo è il Sumi-me che ho dedicato a Paolo, appassionato di Giappone e fumetti, immaginandomelo nel suo primo viaggio nel paese.
Benvenuto sull’isola, marinaio
Quel viaggio, seppur organizzato da altri, era stata l’occasione giusta per visitare finalmente luoghi raggiunti negli anni solo attraverso lo schermo della tv e le pagine degli innumerevoli fumetti che riempivano le pareti della mia camera. Avevo bisogno di sentire quei suoni con le mie orecchie, di vedere quelle luci con i miei occhi, di assaggiare quei sapori con il mio palato.
Il Giappone era a una decina di ore di volo davanti a me e io non stavo più nella pelle. Avendo preso parte a un tour non avevo potuto scegliere personalmente i miei compagni di viaggio, che erano ragazzi e ragazze proveniente da tutt’Italia. Qualcuno sembrava lì solo per poter dire di aver fatto una vacanza in più, altri mi sembravano personaggi interessanti con i quali poter condividere parte dell’avventura. D’altronde in ogni ciurma che si rispetti ci sono alleati e nemici. Continuavano a ronzarmi nella testa le parole di Barbanera: “Avanti, ditemi! Come può essere terminata l’epoca dei pirati sognatori? Suvvia, gente, i sogni delle persone non svaniscono mai!” E poter finalmente raggiungere il paese del Sol Levante era per me un sogno da realizzare da lì a poco: nessuno sarebbe riuscito a farlo svanire, neppure quei due truzzi che pensavano solo a potersi fotografare facendo a gara di onigiri ingurgitati al konbini.
Del primo approccio con il Giappone ricordo il silenzio per le strade. Stavo camminando per le vie di Tokyo ed era tutto così ovattato. Persino nella piazza centrale del mio paese di periferia c’erano più schiamazzi e rumori di freni che maltrattano l’asfalto per annunciare un esaltato in arrivo alla rotonda. Anche una volta scese le scale che conducevano alla metropolitana tutto era semplicemente assurdo: una fila indiana perfettamente ordinata di persone, quasi un formicaio dalle sembianze umane, senza spintoni, senza urla, senza suonerie. Mi sembrava addirittura che qualcuno potesse sentire il battito di emozione del mio cuore. Ero a Tokyo. Ero arrivato. Davvero. A Shibuya, l’incrocio più fotografato del Giappone, le luci dei neon e delle insegne pubblicitarie sembravano invece andare a ritmo con le falcate dei passanti. Ricordo di essermi fermato, all’altezza delle statua del cane Hachiko. C’era un gatto arancione al mio fianco, seduto sul muretto di cemento. Le persone sfrecciavano avanti e indietro, a destra e a sinistra. Di nuovo, immerso in quella totalità, nulla disturbava i miei sensi. Non c’erano volumi troppo alti, né luci troppo luminose.
Di nuovo mi sembrò come se qualcuno potesse spiare comodamente nei miei pensieri e nel mio cuore in quell’istante. “Un giorno andrò in Giappone” erano parole che pronunciavo a me stesso con la stessa convinzione con cui Monkey D. Luffy ripeteva “Io diventerò il Re dei Pirati”.
Ero sulla mia isola, ne ero parte, il suo cuore pulsante batteva a ritmo con il sangue che sgorgava nelle mie vene. Non mi restava che nutrirmi prima di chiudere gli occhi e rendere onore a un sogno diventato realtà. Raggiunsi parte del gruppo, mentre l’altra metà fotografava i due lupi di mare intenti a riempirsi di chicchi di riso anche le narici del naso. Optammo per un ramen, il giusto compromesso per amalgamare al meglio le emozioni di quel primo approccio con il Giappone. La ciotola che arrivò davanti ai miei occhi era ancora fumante. Le decorazioni rosse sulla ceramica bianca facevano onore ai colori della bandiera. Gli spaghetti di frumento facevano capolino da un brodo denso, arricchito da un paio di fettine di carne, mentre il tuorlo dell’uovo sodo brillava all’ombra dell’alga nori.
Presi le bacchette e le affondai nella ciotola. Fu un’esplosione di sapori. Nulla a che vedere con i ramen provati nei ristoranti All You Can Est italiani. Anche quel piatto sembrava darmi il suo benvenuto. Ero davvero arrivato a Tokyo.
Ne voglio uno!
Ti piacerebbe ricevere come regalo di Natale o di compleanno o qualsiasi altra occasione speciale un Sumi-me? O ti piacerebbe come regalo da far realizzare per qualcuno a cui vuoi bene?
Da un semplice dettaglio come un colore, un luogo, un piatto preferito potrebbe uscirne un foglio da unire a quella pila di libri ai quali ci si affeziona.
Se sei interessata/o a ulteriori dettagli scrivimi alla mail info@vandipety.it.
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