La colazione turca è una cosa seria!
Sapevate che in Turchia la colazione è un vero e proprio rituale? È per questo che abbiamo deciso di provarla in un luogo lontano dalle rotte turistiche, uno di quei posto dove chi cucina sa il fatto suo e chi si siede a tavola va a colpo sicuro. Mettetevi comodi e buon appetito!
Parola d’ordine: Kahvaltı
Dopo aver lasciato vagare l’immaginazione in un tempo perduto fra le rovine di Atandros abbiamo deciso di assaggiare la colazione turca in un locale trovato lungo la strada, entrando attraverso pareti realizzate con tendoni di plastica e ritrovandoci in quello che sembrava un salotto con annessa cucina di casa.
Una stufa al centro, un unico tavolo, un calcio balilla, un vecchio divano, un dondolo. Ci hanno accolti sorridendo un uomo e una donna, mentre tentavamo di ordinare:
“bir kahvalti” (una colazione)
“Cay? Tè?”
Si fa così qui, si beve tè nell’attesa.
Non siamo riusciti a rimanere con le mani in mano, incuriositi dalla danza che iniziava nella stanza alle nostre spalle. Sul tavolo centrale sono apparsi pomodori, peperoni, olive, contenitori in vetro dai colori più disparati, un salame, uova, fettine di patata da rosolare in un padellino, il pane da tagliare a fette. È comparso anche un rotolo di carta igienica e mentre spalancavo gli occhi incredula ho scoperto che sarebbe servito per pulire le lame dei coltelli. Siamo tornati a bere il tè, senza rovinare un ritmo che non ci competeva, scaldandoci vicino alla stufa. In meno di mezz’ora il tavolo si è riempito di ogni ben di dio!
Formaggio, verdure cotte, verdure crude, miele, marmellata d’uva, marmellata di fichi, pane, salame cotto, uova strapazzate, peperoni cotti con altro formaggio (forse), olive verdi, olive nere, burro, pomodori sott’olio, patatine fritte, gozleme o meglio noto come pancake, burek cigar cioè impasto fritto ripieno di altro formaggio ancora.
“Altro tè ragazzi, bevete e mangiate”
“Sedetevi anche voi a tavola con noi per favore, è tutto troppo”
Ci sembrava di essere re e regina serviti nella sala regale con il tavolo lungo, i candelabri al centro e noi a un capo e all’altro. Era tutto vero invece.
Ogni sapore era autentico, di piatti freschi appena cucinati, di chi sa fare il proprio lavoro in modo semplice ma preciso. Quando Fatma, la cuoca, si è rivolta a noi il traduttore ci ha rivelato “avete altro da chiedere a questa vostra mamma?”.
Lei che ci aveva accolti appena entrati, che ci aveva abbracciati quando l’avevamo ringraziata per aver cucinato per noi, era lì a chiederci umilmente se ci poteva portare altro, magari un caffè turco, fatto come lo fanno loro.
“Caffè turco sia. Non ci piace per niente ma da te lo accettiamo con gioia. Senza zucchero per favore o rischi di vederci dormire su quel divano più in là tutto il giorno.”
Ci siamo alzati da tavola gongolanti, come se avessimo appena vissuto un pranzo di festa in casa altrui.
Il prezzo per il disturbo? 7 euro in due, quando altrove forse non sarebbero bastati per una brioche surgelata riscaldata all’istante e un caffè tuffato in una tazzina fredda.
Abbiamo abbracciato Fatma per l’ultima volta, stringendola forte come se in lei potessero prendere vita le nostre mamme.
Arigatou, alla prossima.
🇮🇹 → 🇯🇵 9235 km (in linea d’aria)
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