Il Kurdistan Iracheno è pericoloso?
In kurdistan Iracheno ci è successo di tutto, ma sono stati attimi indimenticabili che porteremo nel cuore per sempre. Dopo aver scoperto un po’ di più sul paese e aver visitato la capitale abbiamo deciso di avventurarci lungo la Hamilton road.
Su strade leggendarie
Costruita tra il 1928 e il 1932, questa strada prende il nome dall’ingegnere capo Hamilton, un neozelandese che lavorava per gli inglesi quando presero il controllo dell’Iraq in seguito al crollo dell’Impero Ottomano alla fine della Prima Guerra Mondiale. Si estende per 185 km da Erbil attraverso gli imponenti Monti Zagros fino al confine tra Kurdistan Iracheno e Iran ed è considerata uno dei percorsi più spettacolari dell’Asia occidentale.
In calce trovate il video con tutta la strada spettacolare che abbiamo fattoHamilton stesso nel suo libro di memorie ha descritto il tracciato come “uno zigzag infinito con una superficie incompiuta di rocce taglienti”, dove seguì le tracce di stambecchi e capre per tracciare il percorso più breve possibile. Lungo la Hamilton Road oggi giorno si trovano qualche ristorante, qualche cascata che si getta a picco sul ciglio della strada, alcuni villaggi e qualche raro spiazzo panoramico.
Portiamo alto l’onore ItalianoAbbiamo optato per il percorso ad anello, trovando sulla via del ritorno un venditore ambulante di pan focaccia che per un attimo ci ha fatti tornare con il pensiero in Liguria.
Un popolo meraviglioso
Quello che non sapevamo era che il comitato di accoglienza italiano, costituito da Tonino in primis e dall’ambasciatore Yazida italiano e la sua famiglia, aveva in serbo per noi ancora qualche cartuccia per farci letteralmente innamorare del Kurdistan Iracheno. In Kurdistan è norma comune essere invitati da tutti, ecco perché ci siamo ritrovati a un matrimonio: loro in giacca e cravatta e abiti adornati da dettagli d’oro e noi in jeans e felpa, tanto che altrove ci avrebbero squadrati per l’abbigliamento poco consono. Siamo stati invece accerchiati con strette di mano, tre baci sulla guancia fra donne, frasi di benvenuto e le parole “mangiate che siete sciupati”.
La sposa era molto feliceTra 900 persone in una sala nella quale rimbombava tutto a suon di musica, con persone sedute, persone in cerchio tutt’attorno che si tenevano per i mignoli e accennavano passi di danza, c’era posto anche per i due italiani che sapevano solo dire “supas”, grazie, in curdo, sfoggiando il loro miglior sorriso. È stato bello immergersi in un momento di festa, senza prestar attenzione alla diversità del rito matrimoniale e mangiando quel piatto nazionale composto da riso, pollo, zuppa di legumi al pomodoro. Acqua e lattine di Coca Cola in tavola e poi di nuovo musica a tutto volume e passi di danza, strette di mano, saluti e inviti per l’indomani.
Pochi invitatiStesso posto, diversa esperienza
Se avevamo visitato Lalish e il mausoleo comprendendo pochi dettagli, ci siamo tornati di mercoledì, giorno di festa per gli Yazidi, insieme all’ambasciatore Gazi. Abbiamo così incontrato i due Papi, baciato loro la mano imitando gesti altrui, e come bambini al catechismo abbiamo cercato di comprendere gli aspetti più intriganti di questa religione, le strutture a forma piramidale che rappresentano il sole, i nodi di tessuto che racchiudono una speranza per il futuro, e quel basamento nel quale vi sono prima gli angeli poi tutti gli esseri umani.
Gli Yazidi negli ultimi anni sono stati additati come adoratori del diavolo e perseguitati brutalmente dall’Isis. Gli uomini sono stati uccisi, le donne stuprate e private di identità, i bambini drogati, convertiti all’Islam o uccisi. Abbiamo rivolto tante domande, alle quali ci è stato risposto con gentilezza, senza bisogno di farci credere, solo con l’intento di arricchire la nostra cultura personale.
Uno dei due papi, che onore!Abbiamo scoperto che la preghiera degli Yazidi si rivolge due volte al giorno al sole, pregando per il bene di tutto il mondo, di tutti i popoli, di tutti gli Yazidi e solo alla fine per il bene di se stessi, e abbiamo lasciato quello che si può definire il “Vaticano” yazida tra sorrisi e ringraziamenti, diretti a casa del principe per il pranzo, con un invito semplice e caloroso che è sembrato arrivare da persone di famiglia.
L’ambasciatore e colei che battezza tutti i bambini YazidiAncora una volta abbiamo capito che nel Kurdistan Iracheno conta il rispetto prima di tutto, che ci si conosce guardandosi negli occhi e non importa se si ha indosso una felpa sgualcita e non un abito di seta. Ci siamo ritrovati in case altrui, a condividere attimi semplici, osservando i bambini giocare con quel poco che vale tanto, provando a comprendere qualche parola di una lingua sconosciuta ma non troppo.
Siamo tornati a un altro matrimonio, abbiamo riconosciuto volti già visti, ci siamo sentiti ogni giorno meno stranieri e più esseri umani e ciò che all’inizio ci risultava nuovo diverso, i check point, i dossi maledettamente alti, i negozi sempre aperti, i cantieri sempre operativi, quel senso di “qui non potrebbe accadermi nulla di male”, è diventato sempre più parte del nostro quotidiano. Abbiamo iniziato a salutare i militari con un cenno, a superare i dossi come palline contro i birilli, a comprendere che quel riso che si mangia ogni giorno ha salvato chi è sopravvissuto fra le montagne e simboleggia il valore riservato alle cose semplici ma fondamentali. Abbiamo abbozzato brevi conversazioni, scattato foto ricordo, spento le telecamere e vissuto il momento.
Il custode della storia, se volete sapere qualcosa dovete rivolgervi a luiAbbiamo ascoltato racconti di chi ha perso la famiglia, di chi ha combattuto per la propria gente e la propria terra, di chi ha visto cose che non si dovrebbero nemmeno poter immaginare. Ci siamo goduti un piatto di pasta al pomodoro e gli gnocchi fatti in casa, rispondendo a quei tanti “a fra poco” che mai ci saremmo aspettati di ricevere al telefono.
Abbiamo allentato le resistenze di chi è abituato a volersela cavare da solo a tutti i costi, accettando un affetto senza interesse e senza confini. E abbiamo detto arrivederci e grazie, noi che ormai siamo allergici agli addii, figli di un mondo che sa sempre come stupirci.
Arigatou, alla prossima.
🇮🇹 → 🇯🇵 8247 km (in linea d’aria)
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